Van Kuck vs Germania

 

 

COUR EUROPÉENNE DES DROITS DE L’HOMME
EUROPEAN COURT OF HUMAN RIGHTS
Corte Europea per I diritti dell’uomo
Quarta sezione
DECISIONE
PER L’AMMISSIBILITA’ DELLA
istanza no. 35968/97
di Carola VAN KÜCK
contro la Germania

La corte Europea per I diritti umani (Quarta Sezione), nella seduta del
18 Ottobre 2001 con una Camera composta da
Mr A. PASTOR RIDRUEJO, Presidente,
Mr G. RESS,
Mr L. CAFLISCH,
Mr I. CABRAL BARRETO,
Mrs N. VAJIĆ,
Mr J. HEDIGAN,
Mr M. PELLONPÄÄ, giudici,
and Mr V. BERGER, Section Registrar,
Vista la suddetta istanza presentata alla Commissione Europea per i diritti Umani il 20 Novembre 1995 and registrata il 6 Maggio 1997, Visti gli articoli 5 § 2 del Protocollo No. 11 della Convenzione, secondo cui la competenza ad esaminare l’istanza veniva trasferirta alla Corte, Viste le osservazioni presentate dal Governo convenuto e le osservazioni in replica presentate dalla ricorrente, Avendo deliberato, decide come segue:

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In punto di fatto La ricorrente, Carola van Kück, è di nazionalità tedesca, nata nel 1948 e
residente a Berlino.
Il Governo convenuto è rappresentato da Mr Stöhr, Ministerialdirigent.
Fin dalla propria nascita, la ricorrente fu registrata come di sesso maschile, con il nome proprio di Bernhard Friedrich.
Nel 1990 la ricorrente istituì un procedimento davanti alla Corte Distrettuale di Schöneberg, chiedendo di mutare il nome proprio in Carola Brenda.
Il 20 Dicembre 1991 la Corte Distrettuale approvò la richiesta della ricorrente. La Corte trovò che le condizioni in base alla sezione 1 del Transsexuals Act (Gesetz über die Änderung der Vornamen und die Feststellung der Geschlechtszugehörigkeit in besonderen Fällen) erano riscontrate nel caso della ricorrente. In particolare, sentita la ricorrente ed
esaminate le perizie scritte degli esperti in psichiatria Prof. R. e Dr O. del 28 Agosto1991 e dell’esperto in psicologia Prof. D., essa (la corte N.D.T.) considerò che la richiedente fosse una transessuale da maschio a femmina e che era vissuta negli ultimi tre anni (nell’obbligo di vivere) secondo le proprie tendenze (test di vita reale? NdT). C’era un’alta probabilità che la richiedente non avrebbe cambiato queste tendenze in futuro.
Nel 1991 la richiedente, rappresentata da un legale, fece causa assieme alla Corte Regionale di Berlino contro una compagnia di assicurazioni sulla salute tedesca. Essendo stata assicurata presso questa compagnia fin dal 1975, la richiedente domandò il rimborso delle spese farmaceutiche per il trattamento ormonale. La richiedente inoltre domandò una sentenza dichiarativa con l’effetto che la compagnia citata in giudizio fosse tenuta a
rimborsare il 50% delle spese per gli interventi di riattribuzione di genere e per i successivi trattamenti ormonali.
Il 20 Ottobre 1992 la Corte Regionale di Berlino decise di chiedere la perizia di un esperto sul quesito se la richiedente fosse o meno una transessuale da maschio a femmina; se o meno il suo genere di transessualismo fosse una patologia; se o meno l’intervento per la
riattribuzione di genere fosse il trattamento medico necessario per il transessualismo e se o meno questo trattamento medico fosse generalmente riconosciuto dalla scienza medica.
Lo psichiatra Dr H., dopo aver esaminato la ricorrente nel Gennaio 1993, depositò la propria perizia nel Febbraio 1993. Egli confermò che la ricorrente era una transessuale da maschio a femmina e che il suo transessualismo doveva essere considerato come una patologia. Inoltre affermò che l’intervento per la riattribuzione di genere non era l’unico
trattamento medico necessario in caso di trasessualismo. Nel caso della ricorrente, egli raccomandava un tale intervento da un punto di vista

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psichiatrico e psicoterapeutico, perché esso avrebbe migliorato nel futuro la sua condizione sociale. Egli fece notare come l’intervento di riattribuzione di genere non fosse generalmente riconosciuto dalla scienza e come ci fossero diversi commenti in letteratura che dibattevano se l’intervento fosse il fattore veramente effettivo; tuttavia, poteva essere accertato che il fatto che i transessuali accettassero se stessi ed i loro corpi contribuiva alla loro stabilizzazione. Secondo la sua opinione, molti transessuali raggiungevano tale stabilità solo a seguito di un intervento. Dal suo punto di vista, questo era il caso della richiedente e l’intervento avrebbe pertanto dovuto essere approvato. L’esperto concluse che l’intervento di riattribuzione di genere faceva parte del trattamento medico di una patologia mentale.
Il 3 Agosto 1993 la Corte Regionale, a seguito di una udienza orale, rigettò le richieste della richiedente. La Corte considerò che tra le clausole rilevanti delle condizioni generali di assicurazione (Allgemeine Versicherungsbedingungen), che regolavano il rapporto contrattuale tra la richiedente e la sua assicurazione privata sulla salute, la richiedente non
aveva diritto a rimborso di trattamenti medici riguardanti il suo transessualismo.
Nelle sue argomentazioni, la Corte, viste le perizie presentate dal Dr H. e le perizie degli esperti presentate nel procedimento davanti alla Corte Distrettuale di Schöneberg, considerò che la richiedente era una transessuale da maschio a femmina e che la sua condizione doveva essere considerata come una patologia. Il fatto che il trattamento medico fosse riconosciuto dalla scienza medica fu irrilevante. Dal punto di vista della Corte, i trattamenti ormonali e gli interventi di riattribuzione di genere non potevano
ragionevolmente essere considerati come trattamenti medici necessari. Visto il rilevante caso della Federal Social Court, la Corte decretò che la richiedente avrebbe dovuto in prima istanza ricorrere a metodi meno drastici, ad esempio una intensa psicoterapia di 50 o 100 sedute, così come proposto dall’esperto in psichiatria Prof. D. e rifiutato dalla richiedente dopo 2 sedute (NB: secondo il Governo, il manoscritto originale della delibera
riferiva 24 sedute). La Corte non era convinta che, a seguito del rifiuto della terapia da parte della richiedente, l’intervento chirurgico richiesto fosse l’unico trattamento possibile.
Inoltre la Corte Regionale deliberò che i fatti non dimostravano in maniera definitiva che le misure di riassegnazione di genere avrebbero liberato la richiedente dalle sue sofferenze psicofisiche, un ulteriore criterio per stabilirne la necessità dal punto di vista medico. L’esperto Dr H. aveva semplicemente raccomandato l’intervento da un punto di vista psichiatrico e psicoterapeutico perché avrebbe migliorato la condizione sociale della
richiedente. Le sue ammissioni, secondo le quali l’effetto dell’intervento di riattribuzione di genere era spesso sopravvalutato, non dimostravano che le misure di riassegnazione di genere fossero necessarie per motivi medici.
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Alla Corte non era, peraltro, stato richiesto, ex officio, di interrogare oralmente l’esperto con un quesito sul proprio parere.
L’11 Ottobre 1993 la richiedente ricorse in appello alla Corte di Appello di Berlino. Nelle richieste scritte di appello, la richiedente si opponeva alla sentenza della Corte Regionale perché la necessità delle misure di riassegnazione di genere era stata negata. La ricorrente dichiarava anche di essersi sottoposta senza successo a circa 24-35 sedute di psicoterapia. In merito ad esse, lei si riferiva alle perizie degli esperti e menzionava anche la possibilità di sentire detti esperti.
Nel corso di questi procedimenti di appello, la ricorrente si sottopose agli interventi di riassegnazione di genere.
Il 27 Gennaio 1995 la Corte di Appello rigettò l’appello della ricorrente.
Essa confermò la sentenza della Corte Regionale secondo cui l’esperto Dr H. non aveva confermato la necessità di misure per la riassegnazione di genere. La ricorrente aveva pertanto fallito nel tentativo di dimostrare che le condizioni di rimborso delle spese mediche erano soddisfatte nel suo caso.
La Corte di Appello inoltre considerò che, in ogni caso, ella non aveva diritto a rimborso in merito alla sezione 5.1(b) delle condizioni di assicurazione in quanto aveva ella stessa deliberatamente causato la malattia.
Riferendosi ai dettagli della sua anamnesi così come contenuti nella perizia dell’esperto Dr O. dell’Agosto 1991, la Corte d’Appello deliberò che in particolare la richiedente era nata maschio e non dichiarava di essere femmina con il supporto di fattori cromosomici. Inizialmente, ella non aveva adottato comportamenti femminili. A riprova del suo orientamento maschile, ella era stata in grado di resistere alle sensazioni di aver
desiderato di essere femmina e che questo sarebbe stato più corretto, e aveva controllato la propria vita emotiva in un primo momento.
La Corte di Appello considerò che la richiedente aveva continuato a vivere come un uomo. Dal suo punto di vista, la paura della ricorrente dei “ragazzi più grandi” a scuola non era specifica di un genere. Inoltre, arruolandosi nelle forze armate non aveva invocato il fatto di avere sentimenti femminili, e aveva lasciato le forze armate non perchè sentisse di
essere “donna” ma perchè era stata degradata. Nel 1971, la ricorrente aveva incontrato quella che poi sarebbe diventata sua moglie, un segno evidente del suo orientamento maschile. La moglie aveva desiderato di avere un figlio.
Secondo la Corte di Appello, il “punto di non ritorno”, come dichiarato dalla ricorrente, era stato il momento in cui, dopo un intervento privo di successo nel 1986, ella aveva realizzato di essere sterile. La Corte d’Appello citò il seguente passaggio dalla perizia dell’esperto del 1991:
Il fatto di rendersi conto di essere sterile, fu un fattore decisivo nella conferma del
successivo sviluppo transessuale.

Esso continuava in questi termini:
Completamente consapevole della propria posizione, la ricorrente concluse per se stessa: “Se non puoi avere figli, non sei un uomo”, e come conseguenza ella fece un
passo in più e volle essere una donna da quel momento in poi. Ella non aveva mai in
alcun caso sentito di essere, o che doveva diventare, una donna, ma stava semplicemente decidendo che avrebbe potuto vivere senza un pene e avere ancora relazioni soddisfacente con la propria moglie (…). Fare senza l’uno (il pene NdT) non è la stessa cosa di avere un irresistibile desiderio per l’altra. Da quel momento in avanti per l’obiettivo autoimpostosi di voler essere una donna, dal Dicembre 1986 ella prese, senza controllo medico, assistenza o istruzioni, ormoni femminili (…).
Ciò fu deliberato. Avendo riconosciuto, senza dubbio con dolore, di non poter avere figli, ella decise di staccarsi dal proprio passato di uomo… Fu questo deliberato atto di auto-medicazione che portò la ricorrente ancora più avanti nella propria decisione di voler essere una donna e di voler apparire come tale, anche se ciò era biologicamente impossibile. Ciò fu basato sulla sua limitata preparazione o abilità di riflettere con senso critico (…) ma fu colpevolmente deliberato perchè la ricorrente si trovò in ogni momento nella posizione di vedere quali sarebbero state le conseguenze delle sue
auto-medicazioni e di agire di conseguenza.
…”
Il 25 Ottobre 1996 la Corte Federale Costituzionale rifiutò di ammettere il reclamo costituzionale della ricorrente.
OPPOSIZIONE
La ricorrente si oppone alla decisione della Corte tedesca di rifiutare le sue richieste di rimborso degli interventi di riassegnazione di genere e anche dei procedimenti ad esso connessi.
Ella dichiara che le Corti non hanno debitamente considerato il contesto dei procedimenti per il cambiamento del suo nome proprio e che le citazioni dei pareri dei rispettivi esperti erano parzialmente inesatte. In particolare, la Corte di Appello arbitrariamente aveva desunto che avesse ella stessa deliberatamente causato la propria transessualità, ignorando le sue richieste di ascoltare i periti psichiatrici coinvolti in questi e in precedenti
procedimenti della Corte.
Per di più, la Corte d’Appello si era riferita a dettagli personali del suo curriculum vitae, come dichiarato nei files riguardanti i suoi procedimenti di cambiamento del nome, senza considerarli nel loro preciso contesto.
La ricorrente inoltre considera che la Corte d’Appello abbia commesso una discriminazione contro di lei in quanto transessuale maschio-femmina, nel momento in cui supponeva che, avendo compreso di non poter avere figli, ella avesse deciso di diventare donna.
Ella fa appello agli articoli 6 § 1, 8, 13 e 14 della Convenzione.

LA LEGGE
1. La ricorrente si oppone alla presunta iniquità dei procedimenti della Corte tedesca in merito alle sue richieste di rimborso delle spese mediche da parte di una compagnia assicurativa privata. Ella si appella agli articoli 6 § 1 della Convenzione, la quale, per quanto concerne, si esprime come segue:
“Nella determinazione dei suoi diritti civili ed obblighi…, ognuno ha diritto ad un
giusto… processo… in… tribunale…”
Il Governo oppone che i processi nel loro insieme sono stati equi. Dal suo punto di vista, la richiedente ebbe la possibilità di portare avanti tutte le motivazioni rilevanti e produrre prove.
Esso dichiara che la Corte Regionale di Berlino prese atto della questione se l’intervento in oggetto fosse un trattamento medico necessario e tenne debitamente conto delle conclusioni del perito Dr H.. Parimenti, la Corte d’Appello prese in considerazione la perizia dell’esperto medico e, in una udienza orale, diede alla richiedente un’ulteriore possibilità di presentare annotazioni in merito. L’interpretazione delle Corti tedesche del contratto di assicurazione tra la ricorrente e la sua compagnia di assicurazione sulla
salute, in particolare in riferimento alla necessità di trattamento medico non poteva essere discussa sotto la Convenzione. L’onere della prova era stato addebitato alla richiedente in quanto era la persona assicurata. I periti non avevano affermato inequivocabilmente la necessità medica di un intervento, ma avevano raccomandato l’intervento da un punto di vista psichiatricopsicoterapeutico.
La Corte di Appello aveva concluso da lì in avanti che l’intervento non era necessario in quanto trattamento medico, sebbene la vita sociale della richiedente avrebbe potuto risultarne migliorata. Le corti inoltre si riferirono ai processi riguardanti il cambiamento di nome della ricorrente.
Inoltre, giacché la perizia scritta dell’esperto fu conclusiva, la Corte Regionale e la Corte di Appello non erano state obbligate a chiamare in udienza il perito.
Per di più, la Corte di Appello, prendendo in considerazione le dichiarazioni del difensore, dovette prendere in esame la questione se la richiedente avesse essa stessa deliberatamente causato la malattia. La Corte valutò questa problematica sulle basi di una perizia, preparata dal Dr O. nel contesto dei processi di fronte alla Corte Distrettuale di Schöneberg riguardanti il cambiamento del suo nome proprio. Nei processi di prima
istanza, la ricorrente aveva accettato che quei dati venissero consultati.
Secondo il Governo, il parere di questo esperto conteneva elementi sufficienti riguardanti inter alia la sua prima giovinezza, il suo servizio militare ed il suo matrimonio tali da supportare le conclusioni secondo cui la richiedente avesse essa stessa deliberatamente causato la propria transessualità. In merito a ciò, la Corte di Appello, aveva correttamente

annotato che la richiedente aveva iniziato la terapia ormonale senza prima ricorrere ad una consultazione medica professionistica.La reclamante si oppone alle dichiarazioni del Governo. Ella ribadisce che le Corti tedesche avevano arbitrariamente interpretato la nozione di “trattamento medico necessario” in senso stretto. Dal suo punto di vista, il
perito aveva raccomandato il suo intervento senza esitazione. Comunque, in particolare la Corte d’Appello traspose punti di vista generali sul transessualismo all’opinione del Dr H. e richiese che l’intervento fosse l’unico trattamento possibile.
Ella inoltre considera che la Corte d’Appello non avrebbe dovuto giungere a conclusioni sulla base di una perizia scritta di un esperto preparata nel contesto di un predente gruppo di procedimenti della Corte senza sentire l’esperto Dr O. Ella aveva solo dato il benestare alla consultazione di tali dati al fine di evitare di dover nuovamente provare il suo orientamento sessuale. Gli esperti non avevano mai situato la sua preoccupazione sull’informazione biografica nel contesto del fatto che ella avesse deliberatamente causato la propria transessualità. Per di più, a opinione del suo perito, il Dr O. aveva solo dichiarato che l’infertilità della richiedente aveva contribuito allo sviluppo. La conclusione della Corte d’Appello, senza perizia medica, che il suo trattamento ormonale l’avesse
portata alla transessualità era arbitraria.

2. La ricorrente inoltre invoca l’articolo 14 della Convenzione in relazione all’Articolo 6 in merito alle suddette decisioni della Corte tedesca.
L’Articolo 14 recita quanto segue:
“Il godimento dei diritti e delle libertà statuiti nella Convenzione dovranno essere
assicurati senza discriminazione di nessun livello in base al sesso, alla razza, al colore,
al linguaggio, alla religione, all’orientamento politico o altre opinioni, alle origini
nazionali o sociali, all’appartenenza a una minoranza nazionale, alla prioprietà, alla
nascita o ad altri status.”
Il Governo dichiara che le corti tedesche non discriminarono la ricorrente a causa della sua transessualità. Qualsiasi persona che richieda che il costo di interventi chirurgici venga sostenuto da una compagnia assicurativa sulla salute deve proporre una richiesta valida e, in caso di disputa, addurre prove rilevanti. In merito al trattamento medico dei transessuali, doveva essere fornita prova dell’orientamento sessuale e dei motivi di tale orientamento.
Determinare se la malattia fosse stata o meno causata deliberatamente, veniva fatto per ogni persona assicurata. Per una transessuale, la terapia ormonale era una rilevante prova circostanziale. La valutazione e delibera della Corte d’Appello in merito alla prova non andava a creare nessun tipo di discriminazione.
Secondo le dichiarazioni della ricorrente, la sentenza della Corte d’Appello è arbitraria e lede la sua integrità personale. Rispetto a ciò, ella nota che il suo orientamento sessuale era stato stabilito nel contesto del processo dinanzi la Corte Distrettuale di Schöneberg.

3. La richiedente inoltre considera che le decisioni della corte da lei impugnate violino il suo diritto al rispetto della sua vita privata. Ella si appella all’Articolo 8 della Convenzione il quale, per quanto rilevante, recita:
“1. Chiunque ha diritto al rispetto per la propria vita … privata…
2. Non dovrà esserci alcuna interferenza della pubblica autorità nell’esercizio di questo diritto eccetto quanto disposto dalla legge in quanto necessario in una società democratica per la sicurezza nazionale, la pubblica sicurezza o il buon andamento economico del Paese, per la prevenzione di disordini o di crimini, per la protezione della salute o dell’etica, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.”
Il Governo replica che la Corte d’Appello debitamente considerò la perizia di un perito preparata nel contesto di precedenti processi. Esso ribadisce che la richiedente aveva accettato la consultazione di questi dati.
La Corte d’Appello aveva sottolineato alcuni elementi nell’opinione del succitato perito al fine di dimostrare che la richiedente aveva essa stessa deliberatamente causato la propria transessualità. Non criticava l’orientamento sessuale della ricorrente nè si era riferita a questo orientamento come reprensibile o inammissibile. Piuttosto, il fatto che la Corte d’Appello si fosse riferita alla circostanza che la richiedente stesse nel frattempo vivendo come una donna dimostrava che essa accettava e rispettava la sua identità sessuale. La Corte d’Appello era, in tutti i casi, obbligata a considerare lo sviluppo personale della richiedente nel dover decidere se la di lei richiesta verso la compagnia assicurativa fosse valida.
La ricorrente considera che la Corte d’Appello non rispettò la sua identità sessuale quando proiettò un’immagine della sua personalità che era basata su fatti falsamente ricostruiti. Nell’osservare il suo passato maschile, la Corte d’Appello considerava diversi episodi come la dimostrazione di un orientamento maschile senza considerare gli sforzi di reprimere il
sentimento di una identità differente. Essa in tal modo aveva trascurato lo sviluppo della sua personalità ed identità sessuale.

4. La richiedente inoltre adduce, per I motivi già presentati in connessione alla presunta violazione dell’Articolo 8 collegato all’Articolo 14 della Convenzione, che ella fu discriminata in quanto transessuale nell’esercizio del suo diritto al rispetto della sua vita privata.
Secondo il Governo, è un fatto comune che per dimostrare la validità di richieste specifiche, i dati medici ed i dettagli intimi dovessero essere sviscerati. In merito a questo, non c’era discriminazione tra transessuali ed altre persone assicurate.
La richiedente considera che l’approccio della Corte d’Appello che conclude, sulla base dei dati e senza portare prove, che ella stessa avesse deliberatamente causato la propria malattia, dimostra chiaramente discriminazione tra transessuali ed altri pazienti.

5. La Corte ha esaminato l’opposizione della ricorrente e le dichiarazioni delle parti e trova che vengano sollevati seri meriti di legge e di fatto, che sono di tale complessità che la loro deliberazione debba dipendere da un esame dei meriti. Il ricorso non può, quindi, essere
considerato come manifestamente infondato all’interno del significato degli articoli 35 § 3 della Convenzione. Non è stato stabilito nessun altro motivo per dichiararlo inammissibile.
Per questi motivi, la Corte unanimemente Dichiara il ricorso ammissibile, senza pregiudicare il merito del caso.
Vincent BERGER – Antonio PASTOR RIDRUEJO
Registrar Presidente