ADDIO GIANNI

«Ci sentivamo aquile, volavamo in alto, mentre gli altri rimanevano nei pisciatoi» Ci ha lasciato l’attivista omosessuale genovese Gianni Delfino, militante sin dalla metà degli anni Settanta nel Fuori!, nel COAG, nel Collettivo Fassbinder e infine in Arcigay di Giorgio Umberto Bozzo

… Ho incontrato Giovanni Delfino, da tutti chiamato Gianni, giovedì scorso presso la casa di riposo Piccolo Cottolengo Don Orione di Genova. Era la prima volta che ci vedevamo: io ne avevo sentito abbondantemente parlare da molti attivisti della prima ora e lo incrociavo spesso citato in riviste e documenti; lui si era imbattuto in me soltanto una decina di giorni prima, quando gli avevo mandato un timido messaggio Whatsapp, a cui aveva risposto soltanto dopo un paio di giorni, con uno svogliato assenso a un incontro, corredato da una decina di ritratti di sé, steso in un letto d’ospedale, con una mascherina dell’ossigeno ben premuta sulla bocca e vari macchinari medicali sullo sfondo.

Quando qualche giorno dopo l’ho informato di aver finalmente organizzato il viaggio, ha iniziato a mandarmi messaggi a raffica, mettendo le mani avanti, dicendomi che in verità non si ricordava granché e che la mia visita avrebbe potuto essere deludente. Al contempo però mi inviava immagini di bare aperte, dicendosi impaziente per l’incontro.

Al mio arrivo nella enorme RSA genovese l’appuntamento era in un piccolo salotto del reparto San Carlo, in cui era degente. Era di spalle e quando mi sono avvicinato, pronto a un formale scambio di presentazioni, ha immediatamente tagliato corto e con uno sguardo che non ammetteva repliche o indugi mi ha intimato: «Spingi un po’ questa carrozzina che ce ne dobbiamo andare da qui prima che se ne accorgano». È iniziata una rocambolesca fuga per i lunghi corridoi e gli ascensori del gerontocomio e la mia scarsa abilità nel dominare la sedia a rotelle era tale che più di una volta ho rischiato di andare a sbattere. Mentre questo accadeva non potevo fare a meno di pensare che la scena avrebbe benissimo potuto essere quella di un film dei francesi Nakache e Toledano. Solo quando abbiamo raggiunto un saloncino al pian terreno della struttura abbiamo avuto la possibilità di guardarci davvero per la prima volta in faccia e lui con uno sguardo quasi da entomologo mi ha chiesto: «E tu quindi chi saresti?»

Gianni Delfino è nato a Deiva Marina il 21 giugno 1948 in una famiglia benestante, proprietaria di un hotel. Come molti ragazzini di famiglie borghesi di quegli anni sperimenta la vita del collegio. Alla fine delle superiori, dopo un breve soggiorno a Parma, approda alla facoltà di medicina di Genova.

È un ragazzo complesso e problematico, che stenta a trovare un baricentro esistenziale, per cui nei primi anni Settanta inizia a frequentare, in cerca di risposte e di aiuto, alcuni appuntamenti di psicoterapia di gruppo. È in questa circostanza che Gianni conosce un giovane salernitano, trasferitosi a Genova negli anni precedenti, con il quale scatta una complice amicizia: Francesco Carpentieri è infatti in terapia per “curare” la propria omosessualità e Gianni ben presto lo elegge a proprio interlocutore nel tentativo di mettere a fuoco la propria sessualità. « Lui era complicato, aveva problemi di accettazione. Ricordo che quando avevamo entrambi scoperto di essere omosessuali, quando ce lo eravamo confessati, ogni tanto mi chiamava e mi faceva delle telefonate lunghissime in cui mi domandava: «Ma cosa dici, sono anch’io un finocchio o no?»¹ » Nell’aprile del 1972 la notizia della contestazione del I Congresso di Sessuologia da parte di un gruppo di omosessuali era rimbalzata con grande evidenza sulla stampa quotidiana.

Gianni ricorda con chiarezza la sua reazione. « All’inizio avevo reagito molto male. Pensavo: «Che vergogna, che pagliacciata. Chi sono queste pazze?» Sai, ero ancora molto borghese nel modo di pensare… e poi questi che avevano buttato delle fialette puzzolenti contro gli psichiatri, mi sembravano una cosa disdicevole, grottesca. Inoltre ricordo un articolo del «Corriere della Sera» in cui si diceva una cosa tipo “Anche i malati vogliono avere la patente di sani”. Se pensi che noi andavamo in terapia proprio per curarci puoi immaginare il cortocircuito.² »

I primi anni Settanta sono quelli in cui, sciolte le iniziali inibizioni, sperimenta la propria sessualità, in una città, Genova, che offre agli omosessuali soltanto luoghi di incontro marginali: vespasiani e gabinetti pubblici, cinema di terza categoria, anfratti. È nel corso di una visita a una manifestazione del Partito radicale insieme a Francesco Carpentieri che, disposte su un banchetto di riviste e volantini, i due vedono alcune copie di «Fuori!», il giornale del movimento di liberazione omosessuale e l’idea che dei bulicci³ possano organizzarsi, avere una rivista così curata, cercare ed aprire dibattiti con il resto della società affascina entrambi. «Quella è stata la prima volta in cui ho pensato: questi sono in gamba», ricorda Gianni.

I due amici vengono anche a sapere che a Milano si tengono regolarmente delle riunioni del Fuori! presso la sede del Partito radicale e verso la fine del 1975 Francesco decide di recarsi ad uno degli incontri. « Quando ho sentito Mario Mieli parlare di fronte a quaranta persone ho avuto come una illuminazione. A un certo punto sono intervenuto anche io e non mi sembrava vero di poter parlare liberamente di me stesso. Quando sono tornato a Genova ne ho parlato con Gianni e abbiamo deciso che si doveva fare qualcosa. Non soltanto per noi, ma anche per tutti coloro che provavano quella stessa solitudine antica, quel senso di oppressione. Abbiamo deciso di fare il Fuori! »

Il Fuori! a Genova nasce nel febbraio del 1976, come ricorda Francesco: « Eravamo andati alla sede dei radicali e avevamo subito incontrato un militante, che ci ha accolto. Noi eravamo nervosissimi e molto timidi. Ci abbiamo impiegato un po’ a dire «Siamo omosessuali e cerchiamo ospitalità perché vogliamo fondare il Fuori! a Genova».

Ma quando siamo riusciti a cavare le parole dalla bocca, quello ci ha guardato sorridendo e ci ha detto: «Benvenuti compagni. Qui siete a casa». E da qual momento abbiamo iniziato a fare le riunioni il sabato sera. » Francesco ricorda che Gianni non partecipa alla prima riunione, si fa vedere in seguito, saltuariamente. A suo modo si sente un cane sciolto.

Vale ricordare che nel 1974 Angelo Pezzana, leader del Fuori!, ha optato per la federazione del movimento al Partito radicale – scelta che non viene gradita dagli attivisti che si riconoscono politicamente nella galassia di gruppi e sigle della sinistra rivoluzionaria – e che nella primavera del 1976 – con l’approssimarsi della tornata elettorale a cui cui il Partito radicale ha deciso di prendere parte per la prima volta nella sua storia con in lista anche candidati omosessuali – Angelo pone un aut-aut a tutti coloro che non accettano la scelta della federazione e dell’impegno a fianco del Pr, tenendo i piedi in due scarpe. Non a caso questo è l’anno in cui a Milano nascono i COM (Collettivi omosessuali milanesi), a Parma e Reggio Emilia i COP (Collettivi omosessuali padani) e in molte altre città gruppi altri gruppi autonomi. Gianni, che nel frattempo in Università ha iniziato simpatizzare per la sinistra marxista leninista, nel 1976, in occasione di una trasmissione radiofonica in una radio libera, conosce Francesco Pivetta, un giovane militante e collaboratore di «Il Manifesto».

Da una breve e tumultuosa relazione nasce una amicizia altrettanto complessa e impegnativa: è anche per le pressioni di Delfino che Pivetta, da poco tornato dal servizio militare, compie un viaggio a Roma per incontrarsi con il giornalista omosessuale Giovanni Forti, promuovendo e attivandosi per organizzare un incontro dei gruppi della sinistra rivoluzionaria che si svolge a Genova nell’ottobre di quello stesso anno. Da quel convegno nasce anche il COAG (Collettivo omosessuale autonomo genovese) che dà quasi subito vita a un gruppo di autocoscienza frequentato anche da Gianni Delfino. La vis politica di Gianni ha caratteristiche quasi leggendarie. Emilio Pappini⁴ ce ne regala un ricordo. Nel dicembre del ‘77, come studente di lettere moderne, Emilio partecipa a un seminario tenuto all’Università di Genova da un assistente della docente di psicologia Jole Baldaro Verde. Il titolo è “Eterosessualità, bisessualità e omosessualità” e uno dei libri consigliati è Elementi di critica omosessuale di Mario Mieli, pubblicato da Einaudi pochi mesi prima.

Allo stesso seminario, con ben altro spirito e attitudine di quelli di Emilio e dei suo compagni di corso, prende parte anche Gianni, che ricorda: « Noi eravamo repressi, vivevamo storie di nascosto, non avevamo alcuna coscienza politica della nostra omosessualità. Venivamo da una cultura accademica piena di riferimenti bibliografici e senza esperienze di vita reali.

Lui invece era un vero e proprio incubo dialettico: il povero assistente, che si chiamava Serpero, non riusciva a gestirlo. Gianni riteneva che non fosse lecito parlare di omosessualità con leggerezza, che gli unici a poterlo fare dovevano essere gli omosessuali. Nessun altro⁵. » Anche Gianni, nel corso del nostro incontro, mi ha raccontato il suo ricordo di quel seminario, a distanza di anni pentito di averlo così duramente contestato: « Mi ricordo che questa povera professoressa venne da me e non riusciva a capire perché stessi contestando con tutta quella rabbia il seminario. Mi diceva: «Ragazzi miei, c’è stato uno sforzo enorme per riuscire a fare questa cosa… è la prima volta che in università facciamo un seminario su questo argomento… abbiamo anche consigliato il libro di Mieli…». »

Di quegli anni tra la militanza nel Fuori! come outsider e la frequentazione del COAG Gianni ha ricordi dolci e nostalgici: « Fu un periodo fantastico di relazioni, di amicizie, di viaggi. Io ero diventato molto amico di Francesco Merlini del gruppo di Torino e quando andava a Pisa passava da Genova e io partivo con lui, con la compagna Laura Fossetti, e mi ricordo questa grande casa sull’Arno e… che comizi, che chiacchiere, che incontri, che bello! Partivamo in autostop o in treno se c’erano i soldi. Siamo andati molte volte…

Ci sentivamo aquile, volavamo in alto, mentre gli altri rimanevano nei cessi, nei pisciatoi. » Quando l’esperienza del COAG si scioglie – destino comune a molti dei collettivi di quegli anni – Delfino intraprende un’altra avventura con il COG (Collettivo omosessuale genovese) e di lì a poco entra in contatto con il neocostituito Collettivo Fassbinder⁶, un’esperienza che vede la sua nascita nei primissimi anni Ottanta. « Io ho assistito dall’esterno alla creazione del collettivo: era un bel gruppo di ragazzi che già conoscevo, con qualche new entry, come ad esempio un ragazzo molto giovane di nome Santo⁷, molto timido, che era lì col suo fidanzato.

Quando sono arrivato c’era già tutto, avevano già fatto tutto e mi sono sentito beato. Era un gruppo molto divertente, ci si incontrava nelle case, le nostre case, si facevano feste, ci si fidanzava. Poi, ogni tanto, ci si appoggiava alla sede dei Verdi⁸ per fare delle riunioni. Ma non è durato tantissimo. » Il collettivo si impegna anche in alcune attività culturali aperte alla cittadinanza, organizzando visioni di film (come nel caso della pellicola Taxi zum Klo di Frank Ripploh, proiettata per una settimana al Cinema Diana) e spettacoli teatrali (viene invitato Ciro Cascina che rappresenta il suo La Madonna di Pompei).

Della fine del 1984 è l’organizzazione del ciclo di conferenze “La Gaya Scienza” e la manifestazione – organizzata insieme al CUT (Coordinamento universitario teatrale) – intitolata “Quando le nostre labbra si parlano”. L’esperienza del Collettivo Fassbinder chiude poco dopo il ciclo di conferenze di “La Gaya Scienza” a causa di dissidi interni al gruppo.

Nel frattempo, a livello nazionale, nel 1985 nasce Arcigay e Gianni, quasi in solitaria, si impegna nel tentativo di dare concretezza a una nuova realtà associativa sulla piazza genovese. È lui ad essere citato dalla stampa tutte le volte che una questione riguardante la comunità LGBT+ ligure assurge agli onori – o ai disonori – della cronaca. Delfino è in prima fila nel drammatico periodo dell’emergenza Aids a supporto delle prime associazioni nate per tutelare i diritti di malati e sieropositivi; si attiva per dar vita a un gruppo di credenti LGBT+ a Genova; sarà infaticabile difensore del “sogno scandinavo” del Comune di Cogoleto di creare un albo dove registrare le unioni tra persone dello stesso sesso – registro cancellato da una delibera del CORECO nel febbraio del 1994 -; si batte strenuamente per la “libertà di battere” (N.d.a. il copyright del gioco di parole è di Mario Mieli) quando la polizia genovese si pone in modo decisamente troppo proattivo nel vessare con arresti e denunce di adescamento gli omosessuali della città. Gianni Delfino, nel lungo, tortuoso e accidentato cammino dell’attivismo genovese c’è sempre stato.

Non si può dire che fosse un personaggio comodo o facilmente raccontabile: senz’altro è stato un esempio di indipendenza e di impegno. Si può dire che tutto il suo agire sia stato dedicato alla causa delle persone LGBT+: come militante, come attivista, come organizzatore, come collaboratore di riviste (Lambda e Sodoma) e opere collettanee. Negli ultimi mesi era ricoverato presso la struttura nella quale l’ho incontrato: « Ho rischiato di morire, sai? Mi hanno preso per i capelli. Un giorno ero nella stanza di ospedale e ho visto su di me un filo. Un filo sottile e luminoso. E io sentivo che quel filo si stava sfilacciando.

E io lo guardavo e capivo che non c’era più nulla da fare. Poi è entrata un’infermiera che ha subito dato l’allarme. Mi hanno preso proprio per i capelli e sono qui. Guardami. Come sono? Che faccia ho? Ero bello sai? » Questo elemento di racconto del personaggio ho voluto lasciare per ultimo in questo profilo. Sono in molti a ricordarsi la sua bellezza quando mosse i primi passi da attivista sulla scena genovese.

Oggi un suo amico mi ha regalato un ricordo: « Andavamo al mare a Pieve Ligure. C’era una parte di scogliera chiamata Fontanino, molto frequentata da noi gay naturisti. Quando lo vedevi lì, steso al sole, col suo corpo statuario non potevi che innamorarti di lui. Gianni faceva strage di cuori. » Ciao Gianni, grazie di tutto. Che la terra ti sia lieve.

1 Intervista a Francesco Carpentieri realizzata il 23 aprile 2025.

2 Intervista realizzata il 17 aprile 2025 presso il Piccolo Cottolengo Don Orione di Genova.

3 Termine dialettale genovese per omosessuale.

4 Emilio Pappini è un attivista, già collaboratore del mensile «Babilonia». Oggi è critico di lirica.

5 L’intervista a Emilio Pappini è stata realizzata il 23 aprile 2025.

6 Secondo la testimonianza di Sandro Balastro il Collettivo Fassbinder sarebbe nato da un’evoluzione del COG. Il nome era stato scelto poco dopo la morte del regista tedesco nel giugno del 1982. Si intesta la paternità del nome del collettivo il critico cinematografico Andrea Pastor, che ne fu tra i fondatori e che al tempo era un grandissimo fan del regista.

7 Si tratta dell’attivista Sandro Balastro.

8 Secondo Santo Balastro le riunioni si tenevano il martedì sera presso l’associazione radicale La Città del Sole in piazza Campetto.