Il gene che trasforma le femmine in maschi
Il meccanismo genetico che porta alla determinazione di un maschio o di una femmina, è molto più complesso di quanto si sia mai pensato. E non sarebbe coinvolto solo il cosiddetto “gene della mascolinità”, ma una serie di geni.
Maschi con l’anomala coppia cromosomica tipicamente femminile XX per colpa di un gene.
La battaglia dei sessi inizia già livello dei geni. All’Università di Pavia, un team di ricercatori ha scoperto un gene che quando è mutato, trasforma le femmine in maschi.
X o Y?
Lo studio è stato condotto su alcuni fratelli maschi che, a livello genetico, hanno una coppia cromosomica XX (di solito patrimonio delle femmine), anziché XY, la coppia di cromosomi che caratterizza il sesso maschile.
L’anomalia, molto rara, rende gli uomini, con questa particolare situazione genetica, sterili (a causa della mancanza del cromosoma Y), nonostante il corretto sviluppo dei testicoli.
Non è colpa del gene della mascolinità
Per molto tempo si è pensato che fosse una disfunzione del gene SRY, chiamato anche “gene della mascolinità”. Ora, invece, Giovanna Camerino, che ha guidato la ricerca, afferma che la determinazione del sesso, non avviene per l’azione del solo gene SRY, ma attraverso un serie di geni, guidati dal gene SOX9.
L’SOX9 si trasforma diventando nei maschi, appunto, lo SRY, coinvolto nello sviluppo dei testicoli. Mentre nelle femmine muta nel gene RSPO1, che porta alla formazione delle ovaie.
Un processo interrotto
Nei soggetti maschi dai cromosomi XX studiati dal team di scienziati, il processo potrebbe non essersi compiuto fino in fondo, per colpa del gene femminile RSPO1, che per una disfunzione non ha “spento” il SOX9, bloccandone l’attività. In questo modo il gene SOX9 ha continuato a operare, portando alla formazione degli organi sessuali maschili (i testicoli) su un individuo che, in realtà, era destinato a diventare una femmina (dunque con la coppia cromosomica femminile).
Anche il femminile è attivo
L’ipotesi è stata supportata anche da alcuni studi sulle anomalie genetiche di tipo sessuale sui ratti.
La scoperta è importante, dicono all’Università di Pavia, poiché per la prima volta è stato dimostrato che il sesso femminile negli individui, non si crea passivamente – in assenza del gene della mascolinità – ma con un processo attivo.
(articolo originale su Focus on line del 16 ottobre 2006)
Commento alla scoperta a cura di Davide Tolu (copyright Crisalide AzioneTrans 2006)
Fino ad oggi gli studi genetici avevano messo in luce come l’embrione, neutro nelle prime settimane di vita, in presenza del cromosoma sessuale Y si sviluppasse in senso maschile per la messa in moto di un gene che fornisce indicazioni per il rilascio del testosterone, il quale a sua volta è responsabile dello sviluppo, in questa fase, dei caratteri sessuali primari maschili. Si pensava che in assenza di questa indicazione (assenza di Y o inibizione/difetto del gene della mascolinizzazione) l’individuo si sviluppasse come femmina.
Invece questa ricerca dell’università di Pavia dimostra che la determinazione sessuale in senso femminile non avviene passivamente ma vi concorre un induttore simile a quello che determina lo sviluppo di pene e testicoli. È interessante notare come, secondo la teoria precedente, il transessualismo MTF fosse considerato in qualche modo regressivo rispetto all’evoluzione dell’individuo, in quanto lo sviluppo maschile si intendeva su base femminile come se l’individuo femmina fosse neutro.
Ora più che mai è chiaro che sono molteplici i fattori genetici che determinano il sesso fisico. A maggior ragione è plausibile che a determinare –o non determinare- il genere concorra una molteplicità di fattori: sotto questa luce le probabilità di evolversi in individui adulti completamente maschi/uomini o completamente femmine/donne diminuiscono significativamente e il pensare all’esistenza di un terzo genere (che comprenda più varianti tra gli estremi opposti) risulta sempre più legittimo, nonostante la società umana per millenni ne abbia inibito l’espressione in nome di una supremazia maschile che ha usato la dicotomia/opposizione tra le due estremità di genere per fondare il proprio potere.
La scoperta dell’esistenza di maschi geneticamente XX ha un altro importante risvolto per la nostra comunità: la mascolinità fisica, totale, non è patrimonio esclusivo dei portatori di Y. Anche se questi casi di “inversione sessuale” sono rari, dimostrano come innanzitutto non esista un confine netto che divide inesorabilmente i sessi, ma che potenzialmente ognuno può essere maschio o femmina, e i suoi geni non necessariamente, non sempre ne determinano il sesso. La molteplicità di circostanze che sessuano (fisicamente e socio-culturalmente) l’individuo sono nella maggior parte dei casi codificate in maniera univoca, ma non in tutti. Il fenomeno dell”inversione sessuale genetica e quello intersessuale ne sono la dimostrazione biologica, quello trans/gender ne è quanto meno la dimostrazione a livello socioculturale: ma è importante che la scienza – e la società – riconoscano che non si tratta di aberrazioni o malattie, ma semplicemente di espressioni diverse.
Dopo la scoperta dei maschi XX non sarà più possibile continuare a considerare femmine gli uomini transessuali perché portatori di XX o comunque “non maschi” perché non portatori di Y (ed è vero anche il discorso contrario, per le donne transessuali). La determinazione sessuale è molto più complessa di quanto non si creda. Con buona pace anche dei materialisti, e di chi si ostina a non tener conto del fatto che un individuo senziente può e deve determinare e perseguire anche una specifica identità, sebbene (forse) non in linea con i propri geni.
Il discorso femminista aveva già ipotizzato il transessualismo FtM come possibilità della donna di essere anche (o solo) un uomo.
Questa teoria era però viziata in partenza, perché etichettava sessualmente e socialmente l’individuo come donna anziché riservargli il diritto di autodeterminarsi.