MISS TRANS ITALIA? NO, GRAZIE

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Leggo un articolo-intervista  a Domenico “Megu” Chionetti della Comunità di San Benedetto sul “Fatto Quotidiano che ha come argomento l’elezione di Miss Trans a Genova che non mi convince per nulla. Altrettanto non mi convince l’intervista su YouTube a Rossella Bianchi, presidente dell’Associazione Princesa.
Prima di procedere con la lettura di questo fondo vi consiglio di leggere e ascoltare i link forniti, ma in ogni caso vorrei spiegare perché Rainbow Pangender e Pansessuale, pur invitata, non ha aderito a questa manifestazione.

Certamente io sono stata la prima a “battermi” per il “no” a tale manifestazione con motivazioni che hanno facilmente convinto l’Associazione tutta. Motivazioni che oggi – leggendo queste interviste – mi fanno decidere di estendere a chiunque ci legga.
Io ho avuto l’onore ed il piacere di conoscere “il Gallo” e insieme abbiamo – lui con la Comunità di San Benedetto, io con la di allora Crisalide AzioneTrans – avuto una costante collaborazione. Fiore all’occhiello delle tante cose fatte o insieme o con comune partecipazione, è stato il farsi carico, noi e “San Benedetto” di una ragazza transgender che usciva in prova dal Carcere per un reato grave. Per sei mesi la Comunità doveva garantire la presenza della ragazza nella struttura nelle ore stabilite dal Giudice e Crisalide aveva il compito di “reinserire” la persona (non italiana) nella nostra società, attraverso la partecipazione ai nostri gruppi di Auto Mutuo Aiuto e la partecipazione attiva ad alcune azioni di volontariato. Fino ad allora noi di Crisalide avevamo lavorato sia a livello politico sia sociale ma mai ci eravamo assunte/i il compito di interagire con la Giustizia, assumendoci la responsabilità del comportamento di questa ragazza ed il rispetto di orari, comportamenti ecc.
Fu un grande successo: senza stare a raccontare i dettagli di questi sei mesi, posso dire che oggi la ragazza è perfettamente integrata nella nostra Società, ha studiato e ha un ottimo lavoro. Forse è – fra tutte – l’azione dell’Associazione di cui vado più orgogliosa. Dal primo contatto con lei per capire reciproci intenti, fino al saluto finale che hanno visto le sue scelte lontane dalla nostra Associazione. Sia chiaro: il merito del suo percorso è interamente suo. Noi glielo abbiamo solo consentito in base alle Leggi Italiane e lavorato insieme su motivazioni, desideri per il futuro. Questo è “il Gallo” che conosco e ricordo. La mia malattia, e poi il suo lento decadere, ci hanno tenuti lontani negli ultimi anni, ma mai è mancato il reciproco rispetto e affetto (che io sappia).

Lui poi riuscì laddove noi fallimmo. Per anni abbiamo volantinato nel “ghetto” di Genova, un gruppo di “carruggi” che storicamente Genova ha dedicato, come spazio franco ma non regolarizzato, alla prostituzione transessuale. In queste strette vie le ragazze avevano affittato e poi acquistato i “fondi”, dei negozietti che hanno trasformato in “case dell’amor venale”, con tanto di luce rossa o verde accesa fuori dalla porta per far capire ai clienti se erano libere o occupate. Abbiamo però sempre ricevuto una generica solidarietà associata ad un disinteresse abbastanza chiaro. La disillusione regnava e spesso ci vedevano (specie noi MtF) come illuse e anche sciocche a lavorare per uno stipendio che loro potevano raggiungere in pochi giorni. Ricordo di aver ricevuto anche una proposta di condivisione di uno di questi negozietti. L’ultima volta che sono passata, non ricordo l’anno, raccolsi più testimonianze in cui le ragazze mi dicevano di avere votato Lega Nord. Chiesi come mai, sapendo quanto omotransfobico fosse quel partito e la risposta unanime che mi venne data era fu che speravano che la Lega avrebbe cacciato dall’Italia le trans straniere (in genere sudamericane) che, secondo loro, facevano concorrenza sleale.
Confesso di esserci rimasta male e mi resi conto della distanza di intenzioni tra la nostra Associazione e quelle “ragazze” (alcune non giovanissime) che ragionavano in termini economici, senza vedere alcuna alternativa alla prostituzione, almeno per le generazioni successive alla loro.
Quello fu il momento in cui io personalmente – che ero quella che girava per il ghetto a chiacchierare e chiedere se avevano problemi – smisi di farlo. A volte passavo ancora: due chiacchiere cordiali ma nient’altro. Il rispetto reciproco non è mai mancato ma le distanze di obiettivi erano troppi per tentare di andare oltre una relazione personale fatta di brevi chiacchierate tra un cliente e l’altro.
Un paio di anni dopo lessi sul più importante quotidiano locale di una rivolta delle trans “del ghetto” perché il Comune, nel piano di ristrutturazione del Centro Storico, aveva deciso di passare anche attraverso quel groviglio di vicoli. Questo avrebbe inevitabilmente reso la zona interessante per il turismo e incompatibile con la tradizionale “mission” che aveva. Il Comune propose delle cifre per il rimborso dei “fondi” acquistati, ma la rivolta continuò e iniziò ad interessare la Comunità di San Benedetto e Don Gallo, irrimediabilmente attratto dagli “ultimi tra gli ultimi”. Attrasse anche noi di Crisalide, ovviamente. Il Comune decise di rinunciare al suo piano originale e anzi offriva una sede, all’interno della zona del “ghetto” per le Associazioni Trans. Noi rifiutammo in modo chiaro e netto, nonostante non avessimo, in quel momento, alcuna sede sociale se non un locale a tempo per qualche ora la settimana. Il nostro rifiuto contribuì a far nascere l’Associazione “Le Princese” che invece gradivano quella destinazione.

Perché rifiutammo? Crisalide era una Associazione che aveva una vasta e ampia utenza d’ogni sorta. Il 99,9% di questa “utenza” non voleva prostituirsi, voleva lavorare e inserirsi nella società a vario livello (magari essendo “antagoniste/i” ma non ghettizzate/i. Mettere la sede di un’Associazione che si batteva contro ogni discriminazione nei confronti delle persone transgender non poteva avere una sede nelle vie della prostituzione. Sarebbe stato dare l’immagine dell’accettazione dell’inesorabile “destino” riservato alle trans. Non solo, molte persone che si rivolgevano a noi, mai sarebbero entrate in quella sede perché temevano di essere scambiate per sex workers e “giocarsi” le poche chances di trovare un altro tipo di lavoro. Chiariamo che il “ghetto” è nato come un vero è proprio “red district” riservato alla prostituzione transessuale da molti decenni e non c’erano, all’interno di quella zona, altre attività sia commerciali, sia sociali. Molti potranno pensare che è ipocrita non mischiarsi a “sorelle” che si prostituivano. In realtà lo scudo di incomunicabilità tra chi era del “ghetto” e chi cercava altro era eretto proprio dalle prime, nel totale disinteresse (talvolta anche condita di ironia) verso quelle ragazze che tentavano un inserimento sociale e lavorativo. Inoltre, chi conosce Genova sa che, preso un certo vicolo, il motivo per cui ci si entrava, specie se trans, era uno solo: prostituirsi.

Come ritengo legittimo chi, di fronte al rifiuto sociale, ha scelto la prostituzione, ritengo altrettanto legittimo chi cerca di spezzare l’equivalenza “transessuale = prostituta”. Noi di Crisalide scegliemmo la seconda via, pur essendo aperti e facendo anche campagne iscrizioni a queste ragazze del “ghetto”. Campagne che hanno ricevuto sempre un diniego assoluto quando non sprezzante (in qualche caso). Questo ovviamente non ha prodotto risentimento ma la consapevolezza di quanto ci fosse ancora da fare. Peraltro a noi si rivolgevano prevalentemente le nuove generazioni, chi ancora non aveva iniziato la transizione e non voleva assolutamente prostituirsi (e credo sia un diritto legittimo), ed anche tanti tanti tanti transessuali Da Femmina a Uomo, usciti per la prima volta – con noi e il Coordinamento Italiano Transgender FtM con Davide T. come ispiratore – e che faceva riferimento a Crisalide per gli aspetti organizzativi e di spesa. Noi volevamo rivolgerci a tutte e tutti e non essere il sindacato delle prostitute transgender italiane (quindi anche versus le transgender sex worker straniere) e per far sì che potesse accadere dovevamo agire in territorio neutro per far sentire a proprio agio chiunque.

Qui iniziò un distacco tra Crisalide e Don Gallo. Anche perché la nostra Associazione chiuse e il Don scelse di dare il massimo aiuto alle neonate “Princese”, Associazione trans che raccoglie quasi esclusivamente le ragazze del ghetto e che, ad oggi, poco ha partecipato alle battaglie sui diritti civili, con i fatti, con le presenze alle riiunioni interassociative (perché nel frattempo è nata Rainbow Pangender e Pansessuale e si è formato un Coordinamento Rainbow che coinvolge anche Associazioni di volontariato di altra natura e interesse).

Sia chiaro, un distacco amichevole, nessuna spaccatura. Però il “Gallo” invecchiava e iniziava a delegare. E con questi delegati non c’era lo stesso feeling che c’era con il “Don”. Preferisco glissare sui motivi di questa differenza.

Perlatro io – lo rivelo pubblicamente per la prima volta qui – potrei essere una delle tre persone necessarie che possono dichiarare di essere state miracolate da Don Gallo, appena dopo morto. Ne parlerò se e quando dovesse nascere un processo di santificazione di Don Gallo, quindi non posso che avere un sentimento positivo con lui e con la sua anima.

Lo so, la premessa è stata lunga, ma senza raccontare i pregressi, la critica a Miss Trans non sarebbe veramente comprensibile.
In modo particolare non sarebbe comprensibile il fatto che io abbia qualche dubbio su questa abitudine di parlare in nome di una persona scomparsa. “Il Don avrebbe voluto”, “sarebbe stato contento” ecc. ecc. che sento dichiarare negli articoli citati sia dal “Megu” sia dalla presidente delle Princese. Forse hanno ragione, forse, se fosse ancora vivo, magari parlandogli, avrebbe cambiato idea. Oppure no.

Oppure no perché tra noi e Don Gallo una differenza c’è. Lui è un prete Cattolico, noi siamo tendenzialmente anticlericali (che non vuol dire antipreti, anticattolici ma altro… dotarsi di vocabolario per chi non sa la differenza).

Noi abbiamo lottato perché, partendo da diseredati e “ultimi tra gli ultimi” (come sono ed erano le persone transgender in Italia, ognuna/o con una storia bestiale da raccontare) non fossero più tali. Noi ci battiamo perché non vi siano più “ultimi”. Perché non vi siano più “poveri”.

La Chiesa Cattolica ha invece un bisogno quasi assoluto dei poveri, degli Ultimi perché una delle sue più importanti missioni è quella di stare loro accanto… Qualcuno, nell’America Latina, propose la Teologia della Liberazione, che altro non è che stare accanto ai poveri perché non lo fossero più e non per lenirne le sofferenze. Sappiamo come i Teologi della Liberazione siano poi stati trattati dalla Chiesa Cattolica e che fine abbiano fatto.

Don Gallo era figlio di una cultura diversa dalla nostra. Entrambi ci rivolgevamo agli “ultimi” ma quando, ad esempio, Crisalide, iniziò a farsi valere, le persone che seguivamo iniziavano a trovare lavoro, l’interesse di Don Gallo scemò lentamente. Lui ha sempre cercato gli ultimi e, in ambito transgender, li ha trovati fra le trans del “ghetto” appoggiandole in tutto e per tutto. Aggiungo che nel ghetto la stragrande maggioranza delle “ragazze” erano credenti cattoliche e il “matrimonio” fu cosa inevitabile.

Però non so, anzi so e la penso all’opposto, se le dichiarazioni di  Domenico “Megu” Chionetti, – attuale animatore della Comunità di San Benedetto al Porto e che organizza la tappa genovese del concorso – corrispondano a verità. Dichiara:

“Bisogna capovolgere gli stereotipi. Qui non c’è nessuna mercificazione o sfruttamento del corpo.L’emancipazione è un percorso collettivo: la persona trans è spesso vittima di pregiudizi estetici e si ritrova ancora oggi a lottare per piacere a se stessi e agli altri. Il Gallo lo chiamava ‘diritto al piacere’… Il diritto, negato, a trovare godimento in ciò che si fa e, perché no, anche dal punto di vista fisico”.

Come fa “Megu” a confondere il “diritto al piacere” con la prostituzione come via obbligata, imposta alle trans del ghetto (diciamolo, ormai non giovanissime, quindi cresciute in una Società totalmente chiusa ad altre attività)? Come si fa a pensare che Miss Trans sia una lotta al pregiudizio perché le “trans” sono escluse da un concorso come “Missi Italia” che è, da sempre, la peggiore rappresentazione della “donna oggetto” e contestata da decenni da Femministe e da tante tante donne? Come si fa a confondere il diritto alla felicità con il “dovere della bellezza” cui ci spinge questa società dei consumi? Una festa? Una festa per festeggiare cosa? Forse per dare una pietosa illusione di “importanza” a chi si batte contro le altre in base ad una presunta bellezza trans che, onestamente, non so quale sia…. essere il più “uguali” possibile alle “Donne nate tali” o essere “bombe sexy” che esagerano ogni aspetto delle forme femminili?

Non lo so né mi importa. Miss Trans è sempre stata un’iniziativa puramente commerciale toscana e legata ad un preciso locale (di proprietà di una transgender, guarda caso). E se anche alcune Associazioni hanno “benedetto” questa iniziativa, magari condendola con qualche manifestazione culturale collaterale (cosa che non avviene più dopo la morte di Marcella Di Folco, mi sembra, comunque non avviene quest’anno a Genova), beh, secondo noi hanno sbagliato.

Hanno sbagliato perché tutti i concorsi di “Miss” sono la peggior mercificazione del corpo delle donne (a volte anche degli uomini ma questi concorsi sono più noti in ambienti gay). E’ una vita che esiste un movimento femminile contrario alla “bellezza obbligatoria” delle donne e noi, noi neodonne transgender o ex tali, scegliamo la stessa linea. Siamo contrarie alla “donna bambola” secondo canoni di bellezza votati da maschietti libidinosi (parlo di Missi Italia) impacciati per la presenza della TV e da donne presenzialiste che, pur di essere a favore di una telecamera, partecipano a qualsiasi cosa… Noi dobbiamo imitare il peggio del femminile (imposto dalla cultura e attualmente introiettato da troppe ragazze giovani)? Dobbiamo favorire i chirugi plastici che, del mito della bellezza a tutti i costi, si nutrono come vampiri?

No, grazie. No a Miss Trans Italia come atto rivendicativo dell’essere escluse da Miss Italia.

Lasciamo che Miss Trans Italia sia semplicemente uno spettacolo e non diamogli alcuna patente politica. E’ commercio, spettacolo. Che corrisponde ad un “mercato” che cerca sempre di più, specie nella prostituzione, la trans non operata e virile (nessuno si chiede come si fa ad essere virili con gli ormoni femminili, vero?).

Alcune discriminazioni ci piacciono molto, lo confessiamo e facciamo fatica a capire le donne (chissà magari prossimamente su questi schermi anche le trans) che si sono battute per il “diritto” alla Leva Militare prima e alla Carriera Militare dopo.
Le donne, e con loro, noi donne transgender, abbiamo altri valori da proporre da quello del mito della bellezza a tutti i costi o della donna o transgender soldato. Siamo contro gli stereotipi ma anche un’associazione che abbraccia la non violenza. In questo senso siamo più cristiani noi delle donne militari cattoliche. E siamo anche più femministe rispetto a chi vede la donna relegata al suo ruolo di bella a tutti i costi per potersi permettere di fare qualsiasi carriera.

Voglio chiarire una cosa importante prima di chiudere. Il diritto alla felicità per noi transgender è un diritto particolarmente delicato. La transizione può regalarci corpi e visi femminili in differenti misure e che la chirurgia non sempre può modificare più di tanto (la struttura ossea, ad esempio)… La felicità di sentirsi donna è molto maggiore se è accompagnata da quella di sentirsi bella. Perché per noi essere belle è, prima di tutto, non tradire la nostra origine genetica… A nessuna, salvo qualche esibizionista patologica, piace essere indicata sempre e ovunque come la trans… Ci piace rivendicare il nostro esserlo (non a tutte) liberamente, non per riconoscimento automatico.

A causa di questo fattore psicologico è stata una battaglia lunga e difficile, all’interno della nostra comunità, sfuggire alla legge della discriminazione di chi “non passa” (nel nostro gergo equivale a dire che si vede che è transgender). Per decenni moltissime trans che “passavano” (o pensavano di farlo) si rifiutavano di uscire con chi “non passava” anche solo per altezza, voce struttura ossea. Un rifiuto che nasceva dalla paura che, riconosciuta lei, la gente avrebbe sospettato di tutto il gruppo che era con lei. Questa sottocultura esiste ancora ed è un maschilismo interiorizzato mischiato all’ambizione un po’ “border line” di transizionare non da Maschio a Donna, ma da Maschio a “Strafiga”.

Contro questo ci battiiamo da anni e Miss Trans, non solo va nella direzione opposta, ma rischia di distruggere in poche ore, il lavoro faticoso di anni.

Miss Trans spacciato per festa politica? Per carità, no! Che sia solo “show”. E si sà, the show must go on.

Mirella Izzo

Genova 09/08/2015

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